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Nel 2023 il reddito delle famiglie diminuisce in termini reali

Nel 2024 il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%), si trova cioè in almeno una delle tre seguenti condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale oppure a bassa intensità di lavoro.
La quota di individui a rischio di povertà si attesta sullo stesso valore del 2023 (18,9%) e anche quella di chi è in condizione di grave deprivazione materiale e sociale rimane quasi invariata (4,6% rispetto al 4,7%); si osserva un lieve aumento della percentuale di individui che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (9,2% e 8,9% nell’anno precedente).
Nel 2023, il reddito annuale medio delle famiglie (37.511 euro) aumenta in termini nominali (+4,2%) e si riduce in termini reali (-1,6%).
Nel 2023, l’ammontare di reddito percepito dalle famiglie più abbienti è 5,5 volte quello percepito dalle famiglie più povere (in aumento dal 5,3 del 2022).

CONDIZIONI DI VITA
Stabile il rischio di povertà

I dati sulle condizioni di vita nel 2024 mostrano un quadro sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale (indicatore composito Europa 2030) nel 2024 è pari al 23,1% (era 22,8% nel 2023), per un totale di circa 13 milioni e 525mila persone. Si tratta degli individui che si trovano in almeno una delle seguenti tre condizioni: a rischio di povertà, in grave deprivazione materiale e sociale o a bassa intensità di lavoro (cfr. il Glossario nel Testo integrale).
Nello specifico, sono considerati a rischio di povertà gli individui che vivono in famiglie il cui reddito netto equivalente dell’anno precedente (senza componenti figurative o in natura) è inferiore al 60% di quello mediano. Nel 2024, risulta a rischio di povertà il 18,9% (lo stesso valore registrato nel 2023) delle persone residenti in Italia (vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore a 12.363 euro), per un totale di circa 11 milioni di individui.
Sostanzialmente stabile e pari al 4,6% (era 4,7% nel 2023) risulta la quota di popolazione in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale (oltre 2 milioni e 710mila individui), la quota cioè di coloro che, nel 2024, presentano almeno 7 segnali di deprivazione dei 13 individuati dal nuovo indicatore Europa 2030; si tratta di segnali riferiti alla presenza di difficoltà economiche tali da non poter affrontare spese impreviste, non potersi permettere un pasto adeguato o essere in arretrato con l’affitto o il mutuo, ecc (cfr. Glossario per il dettaglio degli indicatori considerati).
Gli individui che nel 2024 vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (cioè con componenti tra i 18 e i 64 anni che nel corso del 2023 hanno lavorato meno di un quinto del tempo) sono il 9,2% (erano l’8,9% nel 2023), ammontando a circa 3 milioni e 873mila persone. La quota di individui in famiglie a bassa intensità di lavoro aumenta, tra il 2023 e il 2024, tra le persone sole con meno di 35 anni (15,9% rispetto al 14,1% del 2023) e, soprattutto, tra i monogenitori, che presentano una percentuale più che doppia rispetto alla media nazionale (19,5% contro il 15,2% del 2023).
A livello territoriale, nel 2024, il Nord-est si conferma la ripartizione con la minore incidenza di rischio di povertà o esclusione sociale (11,2%, era 11,0% nel 2023) e il Mezzogiorno come l’area del paese con la percentuale più alta (39,2%, era 39,0% nel 2023).
Nel 2024 l’incidenza del rischio di povertà o esclusione sociale si conferma essere più bassa per chi vive in coppia senza figli. Rispetto al 2023, l’indicatore aumenta per coloro che vivono in famiglie con cinque componenti e più (33,5% rispetto al 30,7% del 2023) e, soprattutto, per chi vive in coppia con almeno tre figli (34,8% rispetto a 32% del 2023). La crescita si registra anche per i monogenitori (32,1% rispetto a 29,2%), per effetto della più diffusa condizione di bassa intensità di lavoro (legata anche a problemi di conciliazione). Per le coppie con uno o due figli, il rischio di povertà o esclusione sociale rimane contenuto (circa il 19%) e ben al di sotto della media nazionale (23,1%). Inoltre, nel 2024, il rischio di povertà o esclusione aumenta per gli anziani di 65 anni e più che vivono da soli (29,5% dal 27,2% del 2023).
Il rischio di povertà o esclusione sociale raggiunge il 33,1% (era il 31,6% nel 2023) tra coloro che possono contare principalmente sul reddito da pensioni e/o trasferimenti pubblici, diminuisce invece per coloro che vivono in famiglie in cui la fonte principale di reddito è il lavoro dipendente (14,8% dal 15,8% del 2023) e rimane stabile per chi ha come fonte principale un reddito da lavoro autonomo (22,7% e 22,3% nel 2023).
Infine, il rischio di povertà o esclusione sociale si riduce per gli individui in famiglie con almeno un cittadino straniero (37,5%, dal 40,1% dell’anno precedente) e aumenta leggermente per i componenti delle famiglie composte da soli italiani (21,2% rispetto al 20,7% del 2023).

REDDITI DELLE FAMIGLIE
I redditi netti familiari si riducono in termini reali a causa dell’inflazione

Nel 2023, si stima che le famiglie residenti in Italia abbiano percepito un reddito netto pari in media a 37.511 euro, circa 3.125 euro al mese. La crescita dei redditi familiari in termini nominali (+4,2% rispetto al 2022) non ha però tenuto il passo con l’inflazione osservata nel corso del 2023 (+5,9% la variazione media annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, IPCA), determinando un calo dei redditi delle famiglie in termini reali (-1,6%) per il secondo anno consecutivo.
La diminuzione dei redditi in termini reali è particolarmente intensa nel Nord-est (-4,6%) e nel Centro (-2,7%), a fronte di una lieve riduzione osservata nel Mezzogiorno (-0,6%) e di una debole crescita nel Nord-ovest (+0,6%).
Rispetto al 2007, la contrazione complessiva dei redditi familiari in termini reali è pari, in media, a -8,7% (-13,2% nel Centro, -11,0% nel Mezzogiorno, -7,3% nel Nord-est e -4,4% nel Nord-ovest). Inoltre, la flessione dei redditi è stata particolarmente intensa per le famiglie la cui fonte di reddito principale è il lavoro autonomo (-17,5%) o dipendente (-11,0%), mentre per le famiglie il cui reddito è costituito principalmente da pensioni e trasferimenti pubblici si registra un incremento pari al 5,5%.
Poiché la distribuzione dei redditi è asimmetrica, la maggioranza delle famiglie ha percepito un reddito inferiore all’importo medio. Calcolando il valore mediano, ovvero il livello di reddito che divide il numero di famiglie in due parti uguali, si osserva che il 50% delle famiglie residenti in Italia ha un reddito non superiore a 30.039 euro (2.503 euro al mese), con una crescita del 4% in termini nominali rispetto al 2022 (28.865 euro, 2.405 euro mensili).
Le famiglie del Nord-est dispongono del reddito mediano più elevato (34.772 euro), seguite da quelle del Nord-ovest (il livello mediano è inferiore del 5% a quello del Nord-est), del Centro (-8%) e del Mezzogiorno (-28%). Il reddito mediano varia in misura significativa anche in base alla tipologia familiare: le coppie con figli raggiungono i valori più alti con 46.786 euro (circa 3.900 euro al mese), trattandosi nella maggior parte dei casi di famiglie con due o più percettori, ma le coppie con tre o più figli percepiscono un reddito mediano (44.993 euro) più basso sia di quello osservato per le coppie con due figli (48.084 euro) sia di quello osservato per le coppie con un solo figlio (45.523 euro).
Le famiglie monogenitoriali presentano un reddito mediano di 31.451 euro e gli anziani che vivono soli nel 50% dei casi non superano la soglia di 17.681 euro (1.473 euro mensili). Le coppie senza figli percepiscono un reddito mediano decisamente più basso se la persona di riferimento è anziana (31.975 contro 40.447 euro delle coppie senza figli più giovani). Il livello di reddito mediano delle famiglie con stranieri è inferiore di 5.400 euro a quello delle famiglie composte solo da italiani. Le differenze relative si accentuano passando dal Nord al Mezzogiorno, dove il reddito mediano delle famiglie con almeno uno straniero è pari al 62% di quello delle famiglie di soli italiani.

Testo integrale e nota metodologica

Per tutte le città per le quali viene diffuso l’IPAB, nel quarto trimestre del 2024, si registrano tassi tendenziali di crescita dei prezzi delle abitazioni positivi: a Milano i prezzi aumentano del 3,8% (in flessione rispetto al +7,0% del trimestre precedente), segue Roma dove la crescita si attesta sul 3,5% (dal +4,4% del trimestre precedente); a Torino si registra il rialzo tendenziale più contenuto, pari a +2,5%, tornato positivo dopo il -2,3% del terzo trimestre.

Secondo le stime preliminari, nel quarto trimestre 2024 l’indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie, per fini abitativi o per investimento, aumenta dello 0,7% rispetto al trimestre precedente e del 4,5% nei confronti dello stesso periodo del 2023 (era +3,8% nel terzo trimestre 2024).

La crescita tendenziale dell’IPAB si deve soprattutto ai prezzi delle abitazioni nuove, che aumentano del 9,4% (in accelerazione rispetto al +8,9% del trimestre precedente), e, in misura più contenuta, a quelli delle esistenti che registrano un incremento del 3,4% (da +2,7% del terzo trimestre).

Questi andamenti si manifestano in un contesto di crescita dei volumi di compravendita (+7,6% la variazione tendenziale registrata nel quarto trimestre 2024 dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale, dopo il +2,7% del trimestre precedente).

Su base congiunturale l’aumento dell’IPAB è frutto di dinamiche opposte: aumentano i prezzi delle abitazioni nuove (+4,0%) e diminuiscono invece lievemente quelli delle abitazioni esistenti (-0,1%)

In media, nel 2024, i prezzi delle abitazioni aumentano del +3,2%. L’incremento più marcato si registra per le abitazioni nuove (+7,9%) mentre per le abitazioni esistenti la crescita media annua dei prezzi si attesta al +2,2%.

Rispetto alla media del 2010, primo anno per il quale è disponibile la serie storica dell’IPAB, nel 2024 i prezzi delle abitazioni evidenziano un netto calo (-5,4%), dovuto alla discesa dei prezzi delle abitazioni esistenti (-15,0%) a fronte dell’aumento di quelli delle abitazioni nuove (+30,1%).

Il tasso di variazione acquisito, o trascinamento, dell’IPAB per il 2025 risulta pari a +1,7% (+5,3% per le abitazioni nuove e +0,9% per le abitazioni esistenti).

Nel quarto trimestre 2024, l’IPAB registra tassi tendenziali positivi in tutte le ripartizioni geografiche. La crescita è piuttosto sostenuta nel Nord-Est e nel Sud e Isole (rispettivamente +4,9% e +5,1%) e più contenuta nel Nord-Ovest (+4,3%) e nel Centro (+3,8%)

Testo integrale e nota metodologica

A gennaio 2025 si stima una crescita congiunturale più ampia per le importazioni (+3,2%) rispetto alle esportazioni (+0,6%). Il moderato aumento su base mensile dell’export è sintesi di un incremento per l’area Ue (+1,8%) e di una lieve riduzione per l’area extra-Ue (-0,6%).

Nel trimestre novembre 2024-gennaio 2025, rispetto al precedente, sia l’export sia l’import crescono del 2,2%.

A gennaio 2025 l’export cresce su base annua del 2,5% in termini monetari, mentre si riduce del 2,6% in volume. La crescita delle esportazioni in valore è più intensa per i mercati extra-Ue (+3,3%) rispetto a quelli Ue (+1,9%). L’import registra un incremento tendenziale dell’8,8% in valore, determinato dall’aumento degli acquisti da entrambe le aree, più marcato per l’area extra-Ue (+18,0%) rispetto a quella Ue (+2,2%); in volume, le importazioni aumentano del 4,1%.  

Tra i settori che più contribuiscono alla crescita tendenziale dell’export si segnalano: articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+33,6%), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+7,4%) e metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (+6,4%). Si riducono su base annua le esportazioni di autoveicoli (-15,8%), coke e prodotti petroliferi raffinati (-16,7%), articoli di abbigliamento, anche in pelle e in pelliccia (-9,2%), macchinari e apparecchi non classificati altrove (n.c.a.) (-3,1%), e articoli in pelle, escluso abbigliamento, e simili (-8,9%).

Su base annua, i paesi che forniscono i contributi maggiori all’incremento dell’export nazionale sono: Svizzera (+13,6%), Stati Uniti (+6,2%), Regno Unito (+12,1%), Cechia (+30,8%), paesi OPEC (+10,5%), Spagna (+4,8%) e Francia (+2,6%). All’opposto, la Cina (-24,1%) fornisce il contributo negativo più ampio.

Il saldo commerciale a gennaio 2025 è pari a -264 milioni di euro (era +2.495 milioni nello stesso mese del 2024). Il deficit energetico (-4.693 milioni) è superiore rispetto a un anno prima (-4.233 milioni). L’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici si riduce da 6.728 milioni di gennaio 2024 a 4.428 milioni di gennaio 2025.

Nel mese di gennaio 2025 i prezzi all’importazione aumentano dello 0,4% su base mensile e dell’1,4% su base annua (era +0,1% a dicembre 2024).

L’aggiornamento della base di calcolo a dicembre 2024 degli indici dei prezzi all’importazione – la base di riferimento resta 2021=100 come per gli altri indicatori congiunturali – è illustrato nella Nota informativa.

Testo integrale e nota metodologica

Nel mese di febbraio 2025, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,2% rispetto a gennaio 2025 e dell’1,6% rispetto a febbraio 2024 (da +1,5% del mese precedente); la stima preliminare era +1,7%.

Tra le trenta città capoluogo di regione, provincia autonoma e grandi comuni, Bologna, con una variazione tendenziale di +2,1%, come riportato nel comunicato stesso, si colloca al sesto posto della graduatoria decrescente delle città.

Consulta il Testo integrale e nota metodologica

Lunedì, 17 Marzo 2025 15:26

Istat: Nota mensile n. 1-2/2025

A fine 2024 gli scambi internazionali di merci sono risaliti, ma le attese per il commercio globale restano negative e ulteriormente aggravate dalla possibile escalation delle tensioni commerciali e geopolitiche.

La crescita economica dell’area euro è stata rivista al rialzo nell’ultimo trimestre dell’anno, con prospettive in moderato miglioramento. Tuttavia, il dinamismo economico in Europa è risultato sensibilmente inferiore a quello di altre aree, quali Stati Uniti e paesi asiatici.

Nel 2024 il Pil dell’Italia è cresciuto in volume dello 0,7%, mostrando una progressiva decelerazione nel corso dell’anno.

L’indice della produzione industriale destagionalizzato ha segnato a gennaio un forte rimbalzo, con un aumento congiunturale del 3,2%, che ha più che compensato il marcato calo di dicembre (-2,7%).

La fiducia delle imprese è peggiorata in tutti i comparti a eccezione della manifattura. Quella dei consumatori, invece, ha mostrato un miglioramento, trainato soprattutto dalle valutazioni sulla situazione economica personale.

A gennaio si è registrata una crescita dell’occupazione, che ha coinvolto gli uomini, le donne e gli individui di tutte le età, ad eccezione dei 35-49enni. Per posizione professionale l’occupazione è salita sia tra i dipendenti sia tra gli autonomi.

Per l’intero 2024, a fronte di un incremento più contenuto dei prezzi, si è rilevato un forte aumento delle retribuzioni contrattuali in termini nominali (+3,1%). La crescita è stata più ampia nel settore privato (+4,0%).

A inizio anno, l’inflazione in Italia, seppure in leggero rialzo, è rimasta inferiore a quella media dell’area euro. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo ha segnato, sia a gennaio sia a febbraio, un incremento tendenziale del 1,7%.

Testo integrale

A gennaio 2025 si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale aumenti del 3,2% rispetto a dicembre. Nella media del trimestre novembre-gennaio il livello della produzione rimane invariato rispetto ai tre mesi precedenti.

L’indice destagionalizzato cala su base mensile solo per l’energia (-3,4%); mentre si osservano aumenti per i beni strumentali (+4,1%), i beni intermedi (+4,0%) e i beni di consumo (+2,6%).

Al netto degli effetti di calendario, a gennaio 2025 l’indice generale diminuisce in termini tendenziali dello 0,6% (i giorni lavorativi di calendario sono stati 21 contro i 22 di gennaio 2024). Si registra una crescita esclusivamente per i beni di consumo (+0,4%); al contrario, diminuzioni contraddistinguono i beni strumentali e l’energia (-0,8% per entrambi i raggruppamenti di industrie) e i beni intermedi (-0,6%).

I settori di attività economica che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+21,7%), l’industria del legno, della carta e stampa (+6,2%) e la fabbricazione di prodotti chimici (+4,3%). Le flessioni più ampie si rilevano nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-13,1%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,3%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-6,2%).

Gli indici della produzione industriale sono calcolati con il metodo del concatenamento introdotto a partire dalla pubblicazione dei dati relativi al mese di gennaio 2022. Da gennaio 2025, la base di calcolo è aggiornata all’anno 2024, mentre la base di riferimento, in linea con gli altri indicatori congiunturali, rimane l’anno 2021. Gli aspetti metodologici connessi all’aggiornamento della base di calcolo 2024 sono illustrati nella Nota Informativa diffusa unitamente a questa statistica flash.

Testo integrale e nota metodologica

Nel quarto trimestre 2024, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, è aumentato dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,5% rispetto al quarto trimestre 2023. Nello stesso periodo il Pil è cresciuto dello 0,1% in termini congiunturali e dello 0,6% in termini tendenziali.

Il numero di occupati rimane sostanzialmente stabile rispetto al terzo trimestre 2024, a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+118 mila, +0,7%) che ha compensato la diminuzione dei dipendenti a termine
(-86 mila, -3,1%) e degli indipendenti (-36 mila, -0,7%); cala il numero di disoccupati (-36 mila, -2,3% in tre mesi) e aumenta quello degli inattivi di 15-64 anni (+46 mila, +0,4%). Simile la dinamica per i tassi: quello di occupazione rimane stabile a 62,4%, il tasso di disoccupazione scende al 6,1% (-0,1 punti) e quello di inattività 15-64 anni sale al 33,5% (+0,1 punti). Nei dati provvisori di gennaio 2025, rispetto al mese precedente, l’aumento degli occupati (+145mila, +0,6%) e del relativo tasso (+0,4 punti) si associa alla diminuzione del tasso di disoccupazione (-0,1 punti) e di quello di inattività 15-64 anni (-0,4 punti).

Nel confronto tendenziale rallenta la crescita del numero di occupati (+170 mila, +0,7% rispetto al quarto trimestre 2024), per effetto, anche in questo caso, dell’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato (+3,1%) e della diminuzione dei dipendenti a termine (-10,0%) e degli indipendenti (-0,4%); prosegue il calo del numero di disoccupati (-397 mila in un anno, -20,5%) e la crescita di quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+387 mila, +3,2%). Tale dinamica si riflette nell’aumento del tasso di occupazione (+0,2 punti in un anno), nel calo di quello di disoccupazione (-1,5 punti) e nella crescita del tasso di inattività (+0,9 punti).

Dal lato delle imprese, prosegue, a ritmi meno sostenuti rispetto al trimestre precedente, la crescita congiunturale delle posizioni lavorative dipendenti (+0,4%), della stessa entità nelle sue componenti a tempo pieno e a tempo parziale. La crescita rallenta anche su base tendenziale attestandosi a 1,9%, in misura lievemente superiore nella componente part time (+2%) rispetto a quella full time (+1,8%).

Le ore lavorate per dipendente aumentano in termini congiunturali (+0,4%) ma diminuiscono in termini tendenziali (-1,0%); il ricorso alla cassa integrazione sale a 9,5 ore ogni mille ore lavorate (+1,8 ore). Il tasso dei posti vacanti raggiunge il 2,1%, aumentando di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e diminuendo di 0,2 punti percentuali in quello tendenziale.

Il costo del lavoro per Unità di lavoro equivalente a tempo pieno (Ula) aumenta dello 0,2% su base congiunturale, sia nella componente delle retribuzioni (+0,2%) sia, in misura lievemente inferiore, in quella dei contributi sociali (+0,1%). Su base annua, sebbene in rallentamento rispetto alla forte crescita registrata nei due trimestri precedenti, il costo del lavoro mostra un aumento pari a 3,2%, quale effetto della crescita della componente retributiva (+3,1%) e di quella contributiva (+3,5%), influenzata dai rinnovi contrattuali.

Nella media del 2024, l’aumento del numero di occupati, pari a 352 mila unità (+1,5% in un anno), si associa alla riduzione del numero di disoccupati (-283 mila, -14,6%) e alla crescita di quello degli inattivi di 15-64 anni (+56 mila, +0,5%). Il tasso di occupazione 15-64 anni sale al 62,2% (+0,7 punti percentuali in un anno), quello di disoccupazione scende al 6,5% (-1,1 punti) e quello di inattività (15-64 anni) si attesta al 33,4% (+0,1 punti). L’input di lavoro nelle imprese cresce: le posizioni dipendenti aumentano del 2,3% e il monte ore lavorate del 2,8% (al netto degli effetti di calendario); diminuiscono lievemente il ricorso alla Cig (-0,4 ore ogni mille lavorate) e il ricorso al lavoro straordinario (-0,2%). Cresce in misura sostenuta il costo del lavoro (+3,4%), a seguito dei miglioramenti stabiliti nei rinnovi contrattuali registrati nell’anno.

Testo integrale e nota metodologica

Nel quarto trimestre 2024, rispetto al trimestre precedente, le esportazioni risultano in aumento per il Centro (+1,7%) e il Nord-est (+0,5%) e in flessione per il Nord-ovest (-0,8%) e il Sud e Isole (-0,2%).

Nel 2024, rispetto all’anno precedente, la lieve diminuzione dell’export nazionale in valore (-0,4%) è sintesi di dinamiche territoriali differenziate: la contrazione delle esportazioni è più ampia per le Isole (-5,4%) e il Sud (-5,3%), più contenuta per il Nord-ovest (-2,0%) e il Nord-est (-1,5%), mentre si rileva una forte crescita per il Centro (+4,0%).

Nel complesso del 2024, le flessioni più ampie delle esportazioni riguardano Basilicata (-42,4%), Marche (-29,7%) e Liguria (-24,1%); le regioni più dinamiche all’export, invece, sono Toscana (+13,6%), Valle d’Aosta (+11,1%), Calabria (+9,4%), Lazio (+8,5%) e Molise (+5,8%).

Nel 2024, le minori esportazioni di autoveicoli da Piemonte, Basilicata, Campania e Abruzzo (-0,9 punti percentuali) e la forte riduzione delle vendite di articoli farmaceutici,chimico-medicinali e botanici dalle Marche (-0,8 punti percentuali) contribuiscono a frenare l’export nazionale. All’opposto, gli aumenti delle esportazioni di articoli farmaceutici,chimico-medicinali e botanici da Toscana, Lazio e Campania (+1,0 punti percentuali) e di articoli sportivi, giochi, strumenti musicali, preziosi, strumenti medici e altri prodotti non classificati altrove (n.c.a.) dalla Toscana (+0,7 punti percentuali) forniscono un impulso positivo alle vendite nazionali sui mercati esteri.

Nell’intero anno, i contributi negativi più ampi all’export nazionale derivano dal calo delle vendite delle Marche verso la Cina (-91,9%), della Liguria verso gli Stati Uniti (-77,7%), della Toscana verso la Svizzera (-48,9%), del Piemonte verso Germania (-11,2%) e paesi OPEC (-34,4%) e della Campania verso gli Stati Uniti (-28,2%). Gli apporti positivi maggiori provengono dall’aumento delle esportazioni della Toscana verso Turchia (+242,9%) e Stati Uniti (+12,3%), della Campania verso la Svizzera (+26,1%), della Lombardia verso la Spagna (+11,1%) e del Lazio verso Belgio (+20,8%) e Stati Uniti (+35,7%).

Nel 2024, le province che più contribuiscono a frenare l’export nazionale sono Ascoli Piceno, Torino, Genova, Potenza, Siracusa e Ancona; all’opposto, quelle che maggiormente sostengono le vendite nazionali sui mercati esteri sono Arezzo, Firenze, Latina, Lodi e Monza e della Brianza.

Testo integrale e nota metodologica

Pubblicato il rapporto statistico mensile della Banca d'Italia relativo ai principali indicatori economici italiani con dati aggiornati a febbraio 2025.

Le Statistiche trimestrali, pubblicate come da calendario nel trimestre successivo a quello di riferimento, rappresentano una sintesi dell’andamento dei mercati immobiliari a scala nazionale, con dettagli per aree, capoluoghi e grandi città. Contengono i dati desunti dalle note di trascrizione degli atti di compravendita, registrati presso gli uffici di pubblicità immobiliare dell’Agenzia, incrociati con gli archivi del catasto edilizio urbano.
Dal 2017, le Statistiche trimestrali sostituiscono le Note trimestrali. Il nuovo prodotto editoriale si compone di due distinte pubblicazioni, la prima dedicata al settore Residenziale e l’altra al settore Non residenziale.

Tutti i dettagli al link dell'Osservatorio Mercato Immobiliare

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E’ consentito l’accesso al Parco del complesso di Sant’Artemio e al Parco della Storga nei giorni feriali dalle ore 7.00 alle ore 19.00 e nei giorni di sabato, domenica e festivi dalle ore 8.00 alle ore 18.00.

In ottemperanza alle norme in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-2019 l’accesso del pubblico al Parco è condizionato al rigoroso rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro e del divieto di ogni forma di assembramento di persone; è richiesto l’utilizzo di mascherine o ogni altro idoneo dispositivo per la copertura di naso e bocca, nonché di guanti o gel o altra soluzione igienizzante.

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